Vent’anni, eppure tutto rimane ancora ben saldo nella memoria, cristallizzato. Nella primavera del 2004 ero giusto un ragazzino in procinto di sostenere gli esami di terza media, che però faticavano e non poco a posizionarsi al primo posto nella graduatoria dei pensieri quotidiani.
A quei tempi, infatti, tutto o quasi in città ruotava attorno alla possibile promozione in Serie A del Messina, un evento impensabile pochi mesi prima considerando l’avvio stentato della squadra.
Da qualche settimana i “venti” sferzavano la città facendo circolare sulla sponda siciliana dello Stretto l’aria dei piani alti. Un’aria con cui non si aveva più confidenza da 40 anni e con cui si era tentato solo qualche più o meno timido approccio rimasto tale. A un certo punto, al netto degli scaramantici più ferventi, sembrava che tutto fosse già scritto, così il giallorosso dominava ovunque, da nord a sud passando per il centro: sui balconi, nelle piazze, sui cavi sospesi dell’illuminazione elettrica, sulle carrozzerie delle automobili e persino sulle strisce pedonali. Un’intera città vestita a festa, simbolo della gioia del momento, ma anche di una sorta di riscatto sociale, purtroppo vissuto solo in parte a causa dello sviluppo degli eventi negli anni successivi.
Qualche piccolo incidente di percorso nel finale di campionato ha prolungato l’attesa esasperando ulteriormente l’atmosfera suggestiva ormai espansa a macchia d’olio anche in provincia. In pochi si avvicinavano all’ultimo impegno casalingo della stagione, nonché l’ultimo tra i professionisti per il Celeste, immaginando il già retrocesso Como come il peggiore dei giustizieri dei sogni a tinte giallorosse. I più, invece, si preparavano a lasciarsi alle spalle definitivamente il lustro complicato vissuto negli anni ’90 prima della rinascita.
Avevano ragione loro, fiduciosi nei principali protagonisti della stagione, Di Napoli e Parisi che, come in una perfetta sceneggiatura cinematografica dal lieto fine, si resero autori delle firme del verdetto definitivo.
E allora tutti fuori a riempire strade e piazze, come non succede neanche il 15 agosto, e a rendere ancora più accesi il giallo del sole e il rosso del cuore mettendo da parte per una notte tutti gli affanni. Giovani e meno giovani insieme, accomunati dalla stessa passione che, in quella occasione, nei primi metteva radici e negli altri trovava massima sublimazione.
È proprio questo che negli ultimi 20 anni si è perso per strada, la passione come collante tra le varie componenti. Sotto la cenere, però, si intravede ancora una fiammella, come hanno dimostrato ad esempio la coppa Italia di Serie D di qualche anno fa e la speranza di raggiungere un piazzamento playoff in C nella stagione da poco conclusasi. Segno ulteriore che a Messina non servirebbe molto per tornare a vivere il calcio in una certa maniera. Il che, peraltro, significherebbe un aumento delle possibilità di attrarre investitori e, conseguentemente, avere un volano da sfruttare per una quantomeno parziale ripresa della città stessa.
Negli ultimi tempi di questi vent’anni anche i bambini hanno ricominciato a ripopolare gli spalti del Franco Scoglio. È proprio alle nuove generazioni che bisogna pensare, considerando la loro minore propensione a seguire il calcio anche a causa del poco appeal del prodotto in Italia. In questo senso, i due Mondiali vissuti da spettatori sono stati una grande batosta a cui, però, si può e si deve trovare rimedio a livello locale.
Adesso che anch’io, come tanti altri, mi ritrovo lontano dallo Stretto per questioni lavorative, ho osservato con occhi diversi le immagini di quel percorso storico celebrato da Tcf, Rtp e Gazzetta del Sud. Non si tratta più di semplici ricordi, ma si sa, la lontananza può amplificare certe sensazioni.
E non riesco a non pensare a quel ragazzino che, a un passo dall’accesso al Liceo, sognava ad occhi aperti tra le vie della città addobbate con i colori più belli del mondo.