(Nella foto in alto: Urban in azione)
Alberto Urban è stato uno dei centrocampisti più eclettici negli anni in cui il calcio era ben giocato. Fine anni 80, inizio 90.
Calciatore dotato di spiccato senso del gol , di tecnica e visione di gioco, Urban è stato una bandiera del Cosenza, conquistando la promozione in serie B e sfiorandone una in serie A, svanita per la classifica avulsa.
Il centrocampista nato in Francia, ha giocato nella massima serie con il Genoa targato Scoglio. Ha indossato anche le casacche di Cavese, Avellino, Triestina e Turris.
Alberto, la tua carriera è stata caratterizzata in gran parte da delle stagioni esaltanti e tante soddisfazioni. Con il Cosenza una promozione in B e un’altra svanita per colpa dei numeri…
A Cosenza ho vissuto delle annate incredibili e bellissime. Vincemmo il campionato di serie C con il grande Gianni Di Marzio in panchina. Era una rosa vincente e favolosa. L’anno dopo non riuscimmo ad approdare in serie A per la classifica avulsa.
La nostra era una squadra formata da grandi uomini , con importanti valori tecnici. Tanti successivamente giocammo nella massima serie.
In rossoblu hai giocato con calciatori del calibro di Simoni, Marulla, De Rosa, Napolitano, Marino, Padovano e capitan Bergamini.
Tutti i calciatori citati sono ancora miei grandi amici, avevamo formato un bel gruppo che tutt’ora resiste splendidamente, questo grazie a Denis Bergamini che era un vero capitano e che in questi anni con la nota vicenda giudiziaria che attualmente sta volgendo a suo favore, ci ha unito ancora di più. Alla prima sentenza eravamo tutti in tribunale, io, Gigi Simoni e Padovano in primis. Eravamo accanto a Donata Bergamini, una donna, la sorella, che ha fatto di tutto per cercare di arrivare alla verità.
Adesso ci sarà il ricorso e ci vorrà ancora tempo per arrivare alla verità processuale.
Tornando al calcio, cosa ti ha insegnato Bruno Giorgi?
Giorgi è stato un grande allenatore, ma ancor di più è stato un uomo dai valori eccezionali. È stato in grado di immetterci dei valori umani importanti. Quello che porto dentro di me, è proprio quello che mi ha trasmesso. Ancora oggi mi sento di ringraziarlo. Una persona magnifica.
A Genova hai conosciuto la serie A e hai avuto in veste di allenatore un altro totem: Franco Scoglio…
In quel periodo Scoglio andava per la maggiore. Disponeva bene la squadra in campo e la faceva giocare splendidamente. Mi ha insegnato a giocare a calcio con dei concetti nuovi che ancora oggi potrebbero essere messi in atto. Era avanti su tutti e insieme a Sacchi era fra i migliori allenatori.
In Liguria hai avuto compagni di squadra che hanno fatto la storia del calcio. Che ricordi hai?
Ho giocato con campioni come Aguilera, Fontana, Eranio, Torrente, ma il compagno con il quale mi sono trovato molto bene, è stato il campione del mondo Fulvio Collovati. Una persona umile, un uomo per bene. Con lui sono molto amico ancora oggi.
Signorini, Marulla, Bergamini, tre campioni che non ci sono più…
Sono tre calciatori che ho frequentato tanto e che hanno lasciato il segno. Con Marulla addirittura abbiamo condiviso il campo del Cosenza quando allenavamo. Quindi ci siamo frequentati anche dopo.
Con Bergamini dividevamo addirittura la figurina Panini della stagione 1988. Abbiamo trascorso tre anni insieme.
Con Luca Signorini eravamo stati insieme anche a Cava dei Tirreni. A Genova abitavamo sul viale Portara a Pegli e con l’auto a turno andavamo al campo d’allenamento attraversando quel famoso ponte che non c’è più e che ha causato tanti morti.
Tre grandi persone.
Che ricordi hai delle sfide contro il Messina?
Ricordo la sconfitta quando giocavo con la Cavese e perdemmo per 1 – 0 negli ultimi minuti. In quella gara sfiorai il gol due volte, ma il Messina merito’ la vittoria. Ricordo che in porta c’era Enrico Nieri, che adesso abita vicino a me a Cava ed è un mio amico.
Poi giocai con il Cosenza al “Celeste” in serie B. Michele Padovano vicino alla bandierina effettuò un tiro – cross che andò a spegnersi sotto l’incrocio dei pali. Lui negli spogliatoi disse che aveva mirato proprio lì. Credo fosse la stagione 1988/89. Due anni dopo giocai con la casacca dell’Avellino e perdemmo per 2- 0. Quell’anno avevamo diversi problemi.
Tra le fila del Messina giocavano tanti bravi calciatori. Schillaci, il mio amico Peppe Catalano. Quello che mi impressionata più di tutti era il numero 11 che giocava sulla fascia: Caccia. Era un fenomeno. Incredibile. Ottimi ricordi.
Giocare al “Celeste” aveva un grande fascino, mentre adesso si è perso tutto. Vedo che al “Franco Scoglio” vanno pochissimi tifosi. Che peccato! Una città importante come Messina merita ben altro.
Cosa si dovrebbe fare per migliorare il calcio odierno?
Per cambiare tendenza si dovrebbe insegnare il calcio. Basta tattica. Non bisogna necessariamente giocare ad un tocco. Da metà campo in su devi dare spazio all’estro, alla fantasia. Ad un tocco si può giocare dietro. Nel settore giovanile a 10/11 anni si devono attenere a delle regole, magari per far dire all’allenatore che i ragazzini vincono grazie ai suoi schemi.
Infine c’è stato anche un calo demografico.
Molti ragazzi si dedicano giustamente ad altri sport, altri giocano alla play station, quei pochi che rimangono fanno Soltanto quelle tre sedute settimanali nelle scuole calcio.
Purtroppo non capita più di vedere giocare in piazza i bambini e mi piacerebbe tanto che ciò riaccadesse.
Di cosa ti occupi adesso? Sei rimasto nel mondo del calcio?
Adesso sono un paio di anni che non alleno. Mi piacerebbe tornare, ma va bene così. Ho più tempo per mia madre, i parenti gli amici. Torno spesso a Cosenza e in Calabria in generale, è una terra che amo tantissimo.
Ci vediamo spesso per parlare di Denis e gli abbiamo inaugurato il lungomare di Grisolia, che si trova vicino Diamante.
Prima di chiudere l’intervista, colgo l’occasione per salutare il mio amico Giacomo Modica e il grande Peppino Pavone.
Alberto Urban: un grande calciatore, una bella persona.