Site icon SportMe NEWS

Umberto Calaiò: “Calcio italiano in crisi? Basta con l’idea che si debba pagare per giocare, ecco le tre aree su cui intervenire” 

A proposito della crisi del calcio italiano, su cui si discute da dopo l’eliminazione della Nazionale Azzurra da Euro 2024, è intervenuto Umberto Calaiò in una lunga intervista rilasciata ai microfoni della testata News.Superscommesse.it. Il fratello dell’ex attaccante del Napoli Emanuele è un profondo conoscitore della realtà calcistica italiana, maturata in vari ambiti: come agente Fifa, come osservatore e infine come consulente di mercato e direttore sportivo. In questo estratto, Calaiò ricerca e commenta le cause di un sistema calcio ormai da riformare, sostenendo un necessario intervento su tre precise aree.
Calaiò, non possiamo che partire dagli Europei e dalla disastrosa eliminazione dell’Italia. Subito dopo il flop è iniziata la caccia alle cause. Da addetto ai lavori con lunga esperienza, cosa c’è di vero in quello che si dice? “Troppa tattica nei settori giovanili”, “Troppi stranieri” e “Non si gioca più per strada”. C’è anche un problema di scouting? Il Bologna ha dimostrato che anche con un budget ridotto si possono ottenere grandi risultati. In Italia mancano più le competenze o le risorse per un percorso simile?
“Non ritengo che il tema scouting sia vincolante. Non è corretto neppure sostenere che manchino i talenti. Da ex agente e avendo lavorato nei settori giovanili, dico che il fatto che non si giochi più per strada non è un luogo comune. Purtroppo è vero e ha il suo peso. In generale bisogna avere un modello di sviluppo guardando a tre macro aree. La prima riguarda l’accesso al calcio. Sono d’accordo con Marotta quando dice che il nostro sport sta diventando per ricchi. Bisogna smetterla con l’idea che per giocare bisogna pagare. Anche perché l’accesso al calcio oggi è già molto complicato per la presenza di tanti stranieri. Viviamo in un mondo globalizzato, i club sono società per azioni che prendono giovani dall’estero a basso costo. Molti ragazzi iniziano pensando sia facile arrivare in alto, poi ci si accorge che c’è poco spazio e facciamo i conti con il drop out. Poi c’è l’aspetto tecnico-formativo che spetta alle scuole calcio e ai tecnici. La tecnica, quando si inizia a giocare, deve essere messa al centro rispetto alla tattica. Infine, nei ragazzi bisogna crederci. Ci sono club come Atalanta ed Empoli che hanno sempre avuto la politica di valorizzazione dei propri giovani e non bisogna smettere di farlo. Un tempo la filiera prevedeva che la A pescasse dalla B, e la B dalla C. Oggi è diverso, molte società si sostengono con le plusvalenze, ma se si vuole crescere il talento va cercato nei nostri settori giovanili, perché ce n’è, come c’è in Serie C. È un problema di sistema, ma su due di queste aree si può lavorare a livello di Legge Melandri, rivedendo le percentuali dei diritti tv da destinare alle aree di sviluppo e ricerca. Detto questo, la decadenza del nostro calcio è relativa. I risultati a livello di Under 17 e Under 19 parlano chiaro. Il problema è che poi un ragazzo che vince un Europeo giovanile deve andare a giocare in prestito in Serie B dove magari, non essendo di proprietà, non viene valorizzato”.
Exit mobile version