Rolando Bianchi, ex giocatore di Torino, Cagliari, Lazio, Reggina, Atalanta, Bologna, Manchester City. L’ex attaccante bergamasco si è anche espresso sull’imminente campionato di Serie A.
Rolando Bianchi in esclusiva a SuperNews: “Atalanta? Un successo che nasce da lontano. Il Toro era il mio alter ego”
SuperNews ha avuto il piacere di intervistare Rolando Bianchi, ex attaccante di Atalanta, Torino, Reggina, Bologna, Lazio e Cagliari. Da non dimenticare, inoltre, il suo ottimo rendimento nell’Under 21 della Nazionale Italia dal 2002 al 2006 e la sua parentesi in Premier League, nell’annata 2007-2008, con la maglia del Manchester City. Bianchi ha ripercorso le sue esperienze calcistiche e le scelte fatte nella sua carriera. Inoltre, l’attaccante bergamasco ci ha dato la sua opinione sull’imminente campionato di Serie A e sulle squadre che sembrano meglio organizzate per affrontare la nuova stagione.
Inizi la tua carriera calcistica nelle giovanili dell’Atalanta. Cosa si prova ad aver iniziato nel vivaio di un club come quello bergamasco, che quest’anno ha disputato una stagione sopra le righe, arrivando ai quarti di finale di Champions League? A chi si deve attribuire l’exploit dell’Atalanta?
E’ stata una fortuna quella di poter crescere nelle giovanili dell’Atalanta, perché sono cresciuto a livello calcistico, ma soprattutto a livello umano. L’ambiente nerazzurro teneva molto ad inculcare nei giovani il rispetto delle regole, a formare prima uomini e soltanto dopo dei calciatori. Sono stato all’Atalanta da quando avevo otto anni fino al mio esordio in Serie A. Ho conosciuto grandi allenatori, frequentato un grande ambiente. Per quanto riguarda l’exploit di quest’anno, posso dire che è frutto di un progetto coltivato da anni. L’Atalanta ha il grande pregio di avere e di aver avuto ottime presidenze, presidenti seri, che hanno saputo costruire basi solide e che hanno contribuito al successo della squadra, tra le prime tre a livello nazionale e tra le prime otto a livello europeo. Tutto questo è un lavoro che viene da lontano, che non è casuale. Con Gasperini, i bergamaschi hanno poi avuto una crescita costante, con il raggiungimento di competizioni come l’Europa League e la Champions League, risultati di un progetto serio, ponderato e costante.
Nel 2004-2005 approdi in terra sarda, a Cagliari. Cosa ti ha spinto a intraprendere questa nuova strada? Hai un ricordo particolarmente significativo di questa esperienza?
L’esperienza a Cagliari mi è servita molto. Giocare in questa squadra mi ha permesso di essere convocato nella Nazionale Under 21, in cui ho fatto un reale salto di qualità e giocato partite straordinarie. Nel Cagliari ho avuto la possibilità di giocare con calciatori di livello assoluto, come Suazo, Langella, Esposito, Zola. Spesso mi hanno fatto entrare in campo “con il contagocce”, probabilmente per spronarmi a fare sempre di più, ma io avevo bisogno di giocare con continuità. Ero giovane, spesso ricevevo anche i fischi dei tifosi. Mi sono serviti anche quelli. E’ stata un’esperienza che mi ha formato tanto e che mi ha dato la possibilità di vivere una terra meravigliosa quale la Sardegna, e ovviamente la città di Cagliari.
Con la maglia della Reggina, che hai iniziato a indossare nel 2005, tu e Nicola Amoruso diventate la coppia più prolifica del campionato. Come valuteresti i tuoi anni in amaranto? E cosa ti ha convinto a restare in questa società, nonostante le vicissitudini legate a “Calciopoli”?
Io e Amoruso siamo stati una coppia gol europea: abbiamo realizzato il maggior numero di gol a livello europeo insieme alla coppia Messi-Ronaldinho. E’ stata un’immensa soddisfazione. Credo che si trattasse di un altro calcio, in cui gli attaccanti facevano molta più fatica a fare gol rispetto ad oggi, per via di una qualità superiore della fase difensiva. Per quello che riguarda la mia permanenza a Reggio, ha contribuito il mio infortunio al crociato. Ho fatto la riabilitazione e ho disputato un grandissimo europeo. Il presidente della Reggina decise di riscattarmi, acquistandomi per 2 milioni di euro dall’Atalanta. Giocai una stagione straordinaria che mi ha permise di spiccare il volo.
Cosa ti porti dentro dell’esperienza in Premier League al Manchester City?
Un’esperienza fantastica, quella in Premier League. Purtroppo, ho fatto l’errore di voler tornare in Italia per poter giocare con la Nazionale, altrimenti avrei fatto davvero bene in Inghilterra. La parentesi al City mi ha permesso di capire quanto il calcio inglese stesse crescendo, cosa pretenderei dalle società se diventassi allenatore o direttore sportivo. La serietà del calcio inglese per ciò che concerne l’organizzazione e la puntualità dei pagamenti è unica. Inoltre, in Premier ho sperimentato una nuova mentalità di gioco e ho potuto imparare una nuova lingua.
Nel 2008 diventi un giocatore del Torino, sigillando l’inizio di una lunga storia d’amore. Cosa significa per te aver indossato la maglia del Toro?
Il Torino rispecchiava me stesso: passione, voglia di primeggiare anche se si è inferiori rispetto ad altre squadre, voglia di non arrendersi mai. Ho sposato a pieno il progetto granata perché ci rivedevo dentro Rolando Bianchi, il mio carattere. Indossare la maglia del Toro mi ha permesso di crescere tanto e di conoscere una storia e un ambiente unico nel suo genere.
Cosa ne pensi del Bologna di Sinisa Mihajlovic? Che tipo di squadra ti sembra? Cos’è cambiato rispetto ai tuoi anni in rossoblù?
A Bologna ho lasciato il cuore. Purtroppo, con i rossoblù ho fatto delle pessime prestazioni a causa di un problema muscolare molto serio. Sono stato davvero male. Se fossi stato bene fisicamente, avremmo disputato tutt’altra stagione e ci saremmo salvati. Ne sono sicuro. Nonostante tutto, l’esperienza a Bologna è stata fantastica. Credo che la differenza tra i miei anni in rossoblù e quelli attuali sia a livello societario: oggi, la società ha delle solide basi, vuole crescere e ha in panchina un allenatore di grande spessore.
Hai dei rimpianti?
Rimpianti no, perché tutte le mie scelte sono state fatte con il cuore. Probabilmente, l’unico grande dispiacere è non aver giocato con la Nazionale. Sarebbe stato il coronamento della mia carriera. Credo che rappresentare la propria nazione abbia un valore aggiunto, completamente diverso rispetto a quello del giocare per il proprio club.
Che sensazioni hai sulla nuova stagione di Serie A? Quali sono le due squadre che ritieni meglio organizzate sia dal punto di vista degli acquisti sul mercato sia da un punto di vista della mentalità?
E’ ancora presto per fare delle valutazioni, anche perché il calciomercato è ancora in corso. Penso che la Juventus abbia un’ottima rosa, che crescerà ulteriormente se dovessero arrivare Suarez o Dzeko. Tuttavia, anche l’Inter inizia a rafforzarsi, puntando su giocatori di un certo spessore. La differenza dello scorso anno tra la Juventus e l’Inter consisteva nella presenza, nel club bianconero, di quattro o cinque giocatori che hanno grandissima esperienza internazionale, cosa che nell’Inter mancava. Adesso, però, i nerazzurri stanno cercando calciatori con quel profilo, per questo credo che la squadra di Conte darà del filo da torcere alla Vecchia Signora quest’anno.