Era una giornata autunnale, il sole baciava gli alberi che al primo scroscio di vento perdevano le foglie ingiallite, mentre quelle rossastre sembravano dipinte in un un quadro che vedeva primeggiare i colori di una città che sembrava aver perso tanti treni dalle vecchie ruote arrugginite, ma che stava ritrovando la sua identità attraverso le gesta di una squadra irripetibile e che rimarrà indelebile nella memoria degli sportivi messinesi.
Erano gli ultimi saluti degli anni ottanta e lo stadio “Giovanni Celeste” era il campo della gioia.
Un pomeriggio qualsiasi, un giovedì come tanti altri.
Fra il profumo delle caldarroste, dell’odore di birra proveniente dallo stabilimento vicino e dei dolci delle note pasticcerie della zona, davanti ai cancelli un nugolo di tifosi grandi e piccoli attendeva l’apertura.
Si, perché i magazzinieri aprivano alla gente e ai loro sogni, al loro affetto verso una squadra che rispondeva con i risultati e il cuore.
C’era una volta il Messina e i suoi tifosi, che non erano pochi. Cento, duecento, mille, duemila per un allenamento con Scoglio professore, Schillaci mattatore, Bellopede capitano.
Erano tanti, sugli spalti si vendevano arachidi e bottigliette d’acqua.
Erano tanti, era un allenamento.