Carlo Pellegatti, noto giornalista, ha esposto tutti i mali che affliggono il calcio italiano, nati molto tempo prima della debacle della Nazionale all’Europeo
La Nazionale ha toccato il fondo
E’ un errore. Molti sostengono che, con la recente sconfitta contro la Svizzera, e la conseguente eliminazione dagli , l’Italia abbia toccato uno dei punti più bassi della sua storia. Non sono d’accordo. Ben più mortificanti sono stati i risultati che hanno impedito agli azzurri di passare i gironi in Sudafrica e in Brasile, oppure di partecipare agli ultimi due Campionati Mondiali, in Russia e Qatar. E’ stata dunque un’altra la sconfitta che ha costretto la Nazionale a toccare il fondo, con uno schianto assordante e pauroso, lo 0-1 contro la Macedonia a Palermo, in casa nostra, davanti alla nostra gente. Conseguenza: fuori appunto ancora dal Mondiale. Il dramma sportivo vero è un altro. Da quel giorno nulla è cambiato, anzi, se fosse possibile, le cose sono ancora peggiorate. L’Italia ha giocato poi 28 partite, vincendone solo due contro avversari di alto livello. Per il resto, successi solo con squadre di basso o medio ranking.
La crisi dei talenti
Le responsabilità della politica
La Federazione e le Leghe sembrano più impegnate in lunghi ed estenuanti conflitti, perdendo di vista l’importanza della formazione di nuovi calciatori. In questo senso, la chiusura di tanti Centri Federali è stato un freno alla crescita dei Ragazzi. Crescita affidata dunque solo ai settori giovanili dei Club e ai loro allenatori.
Risultati e fisico alla base dei settori giovanili
Ecco un altro punto che diventa fonte di accesa discussione. Ne ha parlato proprio Zlatan Ibrahimovic in occasione della presentazione di Milan Futuro, realtà nata per la formazione di nuovi giocatori rossoneri da inserire presto in prima squadra
Già, negli ultimi anni, è stato spesso commesso l’errore di inserire giovani già pronti fisicamente, guardando al presente invece che alle potenzialità future. Insomma si lavora al contrario, rispetto, per esempio, al pensiero di un grande uomo di calcio come Arsene Wenger. Per l’allenatore francese se un ragazzo di 14 anni non possiede una consistente base tecnica, può dimenticarsi di diventare un giocatore professionista. Solo dai 14 anni fino ai 17 anni deve essere sviluppata la parte fisica, per migliorare forza, resistenza e velocità. Sarà infine la testa, intorno ai 18 anni, a decidere a quali traguardi potrà ambire.
L’inesorabile crisi tecnica, conseguenza delle necessità economiche dei club
Tutte queste storture portano al logico impoverimento tecnico, che pare purtroppo inesorabile. Del tutto sorprendente alla luce dei lusinghieri risultati a livello europeo e mondiale delle Nazionali giovanili italiane. Una opinione comune è legata al fatto che poi questi Ragazzi non trovino posto nei Club di appartenenza di casa nostra (soprattutto in Serie A), per la massiccia presenza di stranieri.
Due le ragioni principali di questa situazione. L’esigenza sportiva ed economica di una società che vuole raggiungere risultati positivi e rapidi, senza rischiare, aspettando magari la maturazione di potenziali promesse.
I calciatori italiani costano troppo
L’altro aspetto più fragoroso riguarda il prezzo di mercato di questi giovani giocatori italiani. Il rapporto costo-qualità è insostenibile. A pari valore tecnico, un calciatore straniero costa il 30% o addirittura il 40% in meno, magari proveniente dai cinque top campionati europei. Quindi già allenato a ritmi e intensità più elevate. E’ certamente legittimo che un club italiano fissi il prezzo del suo tesserato, ma è altrettanto comprensibile che i dirigenti preferiscono rivolgersi al mercato estero, che offre una più ampia scelta a fronte di prezzi maggiormente accessibili.
Calcio italiano in crisi, la soluzione? Si guardi al tennis
Guardare al tennis italiano, che, dopo anni bui, grazie alla capillare distribuzione dei Centri Federali, di maestri tesi solo alla crescita graduale del proprio allievo, è riuscito a creare una base di grandi giocatori, che in Sinner, Musetti e Berrettini ha le sue punte di diamante. Giocatori, uomini, professionisti dalla alta propensione al sacrificio e alla cultura del lavoro. Molto merito dunque alle loro qualità tecniche e morali, ma senza strutture adeguate e maestri preparati, all’ avanguardia a livello di metodologie, mai si sarebbero raggiunti traguardi così prestigiosi.