Capitani Coraggiosi: Sergio Campolo ed il suo Messina
Sergio Campolo è stato uno degli artefici dei successi della squadra del presidente Aliotta e del direttore Salerno. Sempre schietto e sincero, l’ex capitano del Messina parla del passato, presente e futuro.
A sponsorizzare per primo il mio arrivo a Messina fu Ciccio La Rosa, mi telefonò in un periodo critico della mia vita, era da poco morto mio fratello e io non volevo più sentirne di giocare. Mi diede appuntamento alla Caronte. Quando arrivai vidi un uomo con gli occhialoni e il sigaro che mi squadrò dalla testa ai piedi. Nato a Reggio Calabria e capitano del Catania, era il minimo (ride n.d.r.)
Ricordo che sbarcai insieme ad un mio amico fraterno, Stefano Viola. Con il presidente Aliotta entrai subito in sintonia – Sergio Campolo continua a raccontare i suoi primi mesi a Messina – dissi al presidente che volevo firmare un contratto per un anno ad un milione di lire al mese, volevo provare a riprendere a giocare, ma non sapevo se ce l’avrei fatta. Avevo ancora in mente la scomparsa di mio fratello. Soltanto in seguito avremmo discusso della mia conferma e del mio contratto. Adesso i tempi del presidente Aliotta sono lontani anni luce.
Quel gruppo vinse tanto. Quale fu il segreto?
Era una società solida, fondata su sani principi. Fu una cavalcata trionfale. Negli anni, sulla carta c’erano squadre più forti di noi, ma dimostrammo il contrario. È stato un onore indossare la maglia del Messina e la fascia di capitano.
C’è stato un momento buio?
Certamente quando perdemmo ad Avellino, qualcosa non andò per il verso giusto. Ricordo che arrivai a Reggio con il morale sotto i tacchi, il presidente Aliotta mi convocò a casa sua alle tre di mattina, perché anche a lui quella sconfitta non era andata giù. Attraversai lo Stretto ed analizzammo la situazione. Partimmo più forti di prima e battemmo il Catania, purtroppo morì quel povero ragazzo, Tonino Curro’.
Tra l’altro, con il Catania, arrivò Gaucci…
Mi ricordo che quando arrivò il Catania allo stadio, io e Gigi Corino eravamo seduti su una panchina. Quando scese Alessandro Gaucci e si avvicinò per darmi la mano, non gliela strinsi. Si era comportato male con me. Corino addirittura lo ringraziò per non avermi rinnovato il contratto.
Negli anni successivi mi piace citare fra i calciatori anche Zampagna, un uomo che in campo dava tutto, un po’ come Godeas. Gente che a differenza di qualche altro, parla senza peli sulla lingua e con sincerità. Rammento che erano trascorse diverse giornate di campionato e che Riccardo non era ancora riuscito a segnare, scommettemmo con lui che se fosse andato in doppia cifra, gli avremmo regalato un milione a testa per il suo matrimonio, pur non andando alle nozze. Zampagna segnò più del dovuto e noi fummo più felici di lui.
Forse tanti si sono aggrappati a dei rami anziché ad altri?
Dico solo che ci sono stati calciatori che avrebbero meritato molto più affetto di altri che magari vendevano meglio la loro immagine. Il Messina non è veicolo di pubblicità per poi spiccare il volo verso chissà altri traguardi.
Sei tornato a Messina con altri incarichi, ma non sei riuscito ad imprimere la svolta necessaria. Perché?
Arrivai che era un periodo particolare, mi chiamò una cordata reggina e pensavo che sarebbe stata una cosa seria. Niente di tutto questo! Dopo non aver effettuato alcuna preparazione atletica, fui esonerato dopo aver ottenuto otto vittorie, due pareggi e due sconfitte, occupavamo la quarta posizione. Pagammo l’improvvisazione e il dilettantismo della dirigenza reggina. Ricordo che un grande giornalista come Mino Licordari fece brindare me e il presidente di allora con dei calici, con la promessa che l’avremmo restituiti in caso di mancata promozione. Io lo tornai indietro, il presidente non so. Adesso c’è il figlio di Mino, un giornalista preparato ed educato. Maurizio, è come il padre. Anche in questo mestiere come in tanti altri, ci sono bravi e meno bravi. Comunque in quella stagione con i messinesi c’era solo da scusarsi.
Perché a Messina si fatica tanto a risalire la china?
Credo che due squadre siano troppe, si dovrebbe formare una sola società. La compagine di Arena è andata meglio di quella di Sciotto, nonostante i sacrifici ha fatto più fatica. Qualcosa non va per il verso giusto.
Eppure era arrivato come Ds Obbedio…
Antonio mi ha un po’ deluso, gli avevo proposto diversi giovani interessanti, ma non ha voluto prendere in considerazione nulla.
Ci sono i presupposti per un tuo ritorno a Messina?
Mi auguro e spero di poter tornare un giorno a Messina per poter lavorare con i giovani. Reggio e Messina sono i miei più grandi amori. Ho avuto qualche contatto con la proprietà della Reggina, qualche chiacchiera, nulla più. A Messina mi sento spesso con Alberto Donato, persona seria e preparata. C’è un progetto con la Cittadella che si potrebbe portare avanti. Tanti sport e una scuola calcio d’élite. È un polo sportivo di tutto rispetto.
Pensi che il Messina ripeterà i fasti di un tempo?
Sarà molto difficile. Il presidente Aliotta era una persona di grande spessore umano. Una persona rara.
Sergio Campolo termina così l’intervista. Un uomo che ha sempre detto quello che ha pensato, non perdendosi mai nelle solite frasi scontate. Un ottimo calciatore applaudito da piazze dove la rivalità si è sempre contraddistinta. Uomo, calciatore, dirigente e allenatore che potrà girare per le strade sempre a testa alta e con il Messina, quello che vinceva e convinceva, sempre accanto. In fondo la verità è storia.
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