Camilla Calabrò e il Jiu Jitsu Brasiliano, “ha migliorato la fiducia in me stessa e nelle mie potenzialità”
La cintura blu del Ground Pressure Team Messina racconta la sua passione per questa arte marziale e come nasce. Camilla Calabrò inizia a praticare arti marziali grazie ad un suo compagno di scuola che poi all’università l’ha spronata a provare.
“Siamo stati – racconta – compagni di banco quasi tutto l’ultimo anno di liceo e ricordo che lui ne parlava con gli occhi pieni di gioia e portava sempre le medaglie delle sue vittorie esibendole con tutto l’orgoglio che lo contraddistingueva anche in gara. Già all’epoca lo torturavo chiedendogli di mostrarmi le tecniche e spiegarmi come funzionava. Comunque credo che nella vita facciano tanto i casi fortuiti (nel mio caso aver avuto lui come compagno di classe e di banco) ma grossa parte è determinata da ciò che siamo: a me il jiujitsu brasiliano scorreva nelle vene e l’aver avuto qualcuno che me lo ha fatto conoscere ha solo portato alla luce aspetti che erano già dentro di me”.
Parlando del Brazilian Jiu Jitsu, disciplina di cui è cintura blu presso il Ground Pressure Team Messina, “credo – afferma – che non esista un solo aspetto fondamentale della disciplina, e forse è questo stesso l’aspetto fondamentale: essere un’arte poliedrica. Sicuramente esistono caratteristiche di spicco che personalmente ritengo la contraddistinguono. La prima che mi viene in mente è la componente primordiale legata alla lotta. La lotta è un istinto umano viscerale vecchio quanto l’uomo stesso. Tutti i popoli antichi ne lasciano testimonianza, e ancora oggi se ne riscontrano tracce nel mondo animale. Recentemente ho assistito alla nascita di cuccioli di gatto: ebbene, l’istinto primario che hanno, oltre quello di nutrirsi chiaramente, è quello di lottare tra loro. Si rotolano e guizzano ricordano tecniche che nel bjj usiamo quotidianamente. Al contempo, mi verrebbe da dire, che questa natura lottatoria della disciplina richiama sia un aspetto collegato al gioco, sia uno legato alla supremazia, entrambe comunque presenti nel regno animale. L’altra caratteristica fondamentale della disciplina, a mio parere, è la virtù di collimare questo lato irrazionale e istintivo della lotta con l’estrema razionalità e lucidità che serve per comprendere e mettere in atto le tecniche. Se è vero che lottare viene spontaneo, è anche vero che c’è un grande studio tecnico dietro la comprensione delle dinamiche sottese ad esso. E credo che sia questo ciò che più rende appassionante quest’arte marziale: coinvolge tutti i sensi, appaga il cervello a 360° chiamando ugualmente in causa ambiti da sempre contrapposti. Infine, l’ultimo aspetto che mi sembra degno di nota è la capacità della disciplina di cucirsi come un abito sulla pelle di chi la pratica, e di conseguenza la sua capacità di rigenerarsi costantemente. Nel nostro team ne abbiamo numerosi esempi, persone con più di mezzo secolo che praticano con assoluta naturalezza. La versatilità della disciplina è data dall’immenso arsenale di tecniche che vanta, potenzialmente infinite, poiché affidate alla capacità dell’atleta di reinventarsi e reinventarle”.
In merito al movimento femminile, affermatosi negli sport da contatto, “personalmente – continua la Calabrò – ritengo che sia anche arrivata l’ora. Non esistono sport per donne e sport per uomini. Esiste lo sport e basta. L’istinto di lottare è qualcosa che oltrepassa la distinzione di genere, e tutte le caratteristiche contenute all’interno della disciplina sono super partes. Da donna voglio dire alle donne: fatevi avanti! Ascoltate il vostro istinto: se sentite una vocina dentro di voi che rende la curiosità un tarlo nella vostra testa, provate! Nonostante sia un ambiente con una maggiore presenza di uomini, di sicuro non vi mangiano. Dobbiamo osare ed uscire fuori dagli schemi preimpostati che ormai sono il retaggio di una cultura anacronistica. Non siate intimorite, e anche se lo siete per tanti motivi ( possono capirlo) sfidatevi e uscite fuori dalla vostra zona di comfort. “Il jiujitsu brasiliano nasce come strumento di difesa per i più piccoli contro i più grossi. Non solo lo consiglio alle donne (che sono, tristemente ad oggi, maggiormente vittime di violenza), ma lo consiglio a tutte le persone che sentono il bisogno di avere più sicurezza in sé stesse. E ovviamente non solo parlo da un punto di vista fisico (in uno scontro tecnica batte forza), ma parlo anche e soprattutto da un punto di vista psicologico. I due ambiti sono chiaramente collegati, questo perché la consapevolezza di essere soggetti agenti e non passivi in uno scontro fisico potenzia anche l’autoefficacia (la consapevolezza di ciò che si sa fare) e a cascata l’autostima (consapevolezza di ciò che si è). La violenza sulle donne è fisica, ma è quasi sempre originata da un abuso psicologico, quindi trovo la disciplina assolutamente a fuoco in tutti gli aspetti citati.
Il bjj ha arricchito la mia vita sotto una serie talmente vasta di aspetti che è un’impresa titanica citarli tutti. Tutte le componenti di cui ho già parlato ne rappresentano una parte: la capacità di resuscitare l’istinto sopito di lottare, che sentivo comunque forte dentro di me, ma non sapevo nominare; la tendenza a far camminare in modo parallelo razionalità e irrazionalità, quando spesso tendo ad esagerare con l’una o con l’altra, il bjj è lì a ricordarmi che bisogna cercare un equilibrio. Ma ha anche migliorato la fiducia in me stessa e nelle mie potenzialità, mostrandomi con la severità di un genitore autorevole, ma non autoritario, che anche i migliori perdono, ed è giusto imparare a farlo, perché si impara da chi è più bravo di noi. Mi ha spesso messo faccia a faccia con il vero nemico: me stessa, obbligandomi ad affrontare rabbie e frustrazioni e insegnandomi che la mia prospettiva cambia le cose.
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