Enrico Massimino sin da bambino non perdeva occasione di seguire il Messina. Il padre Salvatore era il presidente dell’Acr, la squadra che negli anni ottanta faceva entusiasmare i suoi tifosi. Un’intera città si riconosceva nell’undici dei “bastardi” di Franco Scoglio. In quella squadra giocavano formidabili calciatori: sua maestà Franco Caccia, Schillaci, Catalano, Napoli, Mancuso, Bellopede, Romolo Rossi, Repetto, Vendittelli, testolina d’oro Orati.
Schepis faceva scoppiare i mortaretti, lo stadio “Celeste” era stracolmo e addirittura negli allenamenti settimanali si contavano quasi duemila tifosi. Era tutta un’altra storia, una storia che ai giorni d’oggi è diventata fiaba. Enrico Massimino è adesso presidente del Licata in serie D, nella stessa categoria nella quale militano le due squadre peloritane: ACR ed FC.
Presidente, partiamo da molto lontano, cioè a più di trenta anni fa. Perché saltò l’iscrizione dell’Acr?
Mi chiede una cosa ancora oggi difficile da spiegare. Tutto nacque da un malinteso fra l’amministrazione e la proprietà. Ci fu in litigio con mio padre e il banco saltò. A distanza di tempo posso dire che sarebbe stato meglio che tutto fosse andato in ben altro modo. Io purtroppo non potei intervenire, ero solo un ragazzo.
Cosa ricorda degli anni di suo padre al timone dell’ Acr?
Intanto devo dire che quello fu il periodo più bello della mia vita. Mio padre era una persona che badava molto a far bilanciare tutto, ma era innamorato del Messina. Era un uomo che manteneva sempre la parola data, ed è stata questa prerogativa l’essenza del suo successo. Con pochi ritocchi ogni anno riusciva a garantire alla squadra il necessario salto di qualità e mi riferisco agli anni con il grande mister Franco Scoglio in panchina.
A tal proposito, che rapporto aveva con l’allenatore eoliano?
Era una situazione abbastanza strana e per questo vincente. Scoglio e mio padre litigavano spesso, ma poi papà ci diceva che per lui era il migliore allenatore che c’era sulla piazza. Lo stimava e lo apprezzava.
Torniamo ai giorni nostri. Come sta andando la sua avventura al comando del Licata?
Sono due anni e mezzo che abbiamo rilevato questa società che militava in Eccellenza. In pochi mesi siamo riusciti a vincere una Coppa Italia e ad essere promossi in serie D. Mattone dopo mattone abbiamo costruito una bella squadra, formata essenzialmente da giovani calciatori provenienti dal nostro territorio. Siamo convinti che la strada da percorrere sia questa.
Invece l’ACR, malgrado gli sforzi della famiglia Sciotto, sembra non trovare la via giusta per tornare ai livelli che gli competono. Come mai?
Una piazza come Messina non può accontentarsi della serie D. Non mi sembra giusto entrare in casa d’altri, ma quello che posso aggiungere è che secondo me si è cambiato spesso assetto, mentre invece bisogna mantenere una certa intelaiatura.
La tifoseria dell’Acr attende un segnale per ripartire. Tornerebbe da presidente nella città che ha visto suo padre grande protagonista?
Ho sentito in giro delle voci al riguardo. Devo dire che precedentemente avevo avuto dei contatti con dei dirigenti che adesso non fanno più parte dello staff peloritano, tutto è partito da alcune mie dichiarazioni rilasciate sul Licata e Licata. Avevo detto che era stato raggiunto il top e che per ottenere ancora di più bisognava alzare l’asticella. Negli ultimi mesi la piazza licatese mi ha dato le rassicurazioni che volevo e quindi sono stato accontentato. Il progetto può andare avanti.
Quindi, discorso chiuso per un suo ingresso nel sodalizio peloritano…
Ripeto, l’iter che avevo chiesto a Licata si è attivato. Mi ritengo una persona ambiziosa come lo era mio padre, non è giusto che io inneschi notizie infondate. Detto questo, devo dire che penso sempre con grande nostalgia agli anni di mio padre presidente del Messina.